In quale Tribunale fare causa a Facebook?

25 gennaio 2018

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella causa C – 498/16, ha chiarito, nella sentenza adottata in data 25 gennaio 2018, che un consumatore può sempre fare causa a Facebook avanti al Tribunale del consumatore, da intendere quale Tribunale del luogo di residenza. In italia, si rileva che la materia è disciplinata dal Codice del Consumo.

 Nel caso sopra citato, dunque, un cittadino austriaco, sig. Schrems, aveva citato in giudizio Facebook Ireland («Facebook») dinanzi ai giudici austriaci. Egli contestava a Facebook di aver violato diverse disposizioni in materia di protezione dei dati relativamente al suo account Facebook privato  e agli account di altri sette  utilizzatori che gli avrebbero ceduto i loro diritti per tale azione. Tali altri utilizzatori sarebbero anch’essi consumatori e abiterebbero in Austria, in Germania o in India. Il sig. Schrems desiderava, in particolare, che la giustizia austriaca dichiarasse invalide talune clausole contrattuali e condannasse Facebook, da un lato, a cessare l’uso dei dati controversi per fini propri e per fini di terzi e, d’altro lato, a pagare il risarcimento dei danni.

 

La Corte UE ha precisato  che l’utilizzatore di un account Facebook privato non perde la qualità di «consumatore» allorché pubblica libri, tiene conferenze, gestisce siti Internet, raccoglie donazioni e si fa cedere i diritti da numerosi consumatori al fine di far valere in giudizio tali diritti.

 

Il foro del consumatore non può essere invece invocato per l’azione di un consumatore diretta a far valere, dinanzi al giudice del luogo in cui egli è domiciliato, non soltanto diritti propri ma anche diritti ceduti da altri consumatori domiciliati nello stesso Stato membro, in altri Stati membri oppure in Stati terzi.

 

Per quanto riguarda la qualifica di consumatore, la Corte ha sottolineato che il foro del consumatore, in linea di principio, si applica solo nell’ipotesi in cui la finalità del contratto concluso tra le parti abbia ad oggetto un uso non professionale del bene o del servizio interessato. Relativamente ai servizi di una rete sociale digitale che hanno tendenza ad essere utilizzati durante un lungo periodo, occorre tener conto dell’evoluzione ulteriore dell’uso che viene fatto di tali servizi.

Colui che avvia un’azione in giudizio, che è un utilizzatore di tali servizi, può, quindi, invocare la qualità di consumatore soltanto se l’uso essenzialmente non professionale di tali servizi, per il quale ha originariamente concluso un contratto, non ha acquisito, in seguito, un carattere essenzialmente professionale.

Per contro, dato che la nozione di «consumatore» si definisce per opposizione a quella di operatore economico e che essa prescinde dalle conoscenze o dalle informazioni di cui una persona realmente dispone, né le competenze che tale persona possa acquisire nel settore nel cui ambito rientrano i servizi, né il suo impegno ai fini della rappresentanza dei diritti e degli interessi degli utilizzatori di tali servizi la privano della qualità di «consumatore». Un’interpretazione della nozione di «consumatore» che escludesse tali attività si risolverebbe, infatti, nell’impedire una tutela effettiva dei diritti di cui i consumatori dispongono nei confronti delle loro controparti professionali, compresi quelli relativi alla protezione dei loro dati personali.

 

Per quanto riguarda i diritti ceduti, la Corte ha ricordato che il foro del consumatore è stato istituito per proteggere il consumatore in quanto parte del contratto considerato. Pertanto, il consumatore è tutelato solo allorché egli è personalmente coinvolto come attore o convenuto in un giudizio. Di conseguenza, l’attore che non sia esso stesso parte del contratto di consumo di cui trattasi non può avvalersi del foro del consumatore. Tali considerazioni devono applicarsi anche nei confronti di un consumatore cessionario di diritti di altri consumatori.

 

 

 

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