La Criptovaluta

01 aprile 2019

Il Tribunale Firenze Sez. fall., con la Sent., 21/01/2019, ha inquadrato  giuridicamente il sistema delle c.d. criptovalute, e in particolare la natura (materiale e giuridica) delle stesse, sulla base della legislazione vigente, della dottrina e della giurisprudenza in materia applicabile.

Sotto il profilo tecnico, in via di assoluta semplificazione e prendendo spunto dagli studi in materia e dalle definizioni comuni, la criptovaluta è la rappresentazione informatica di un valore, decentralizzata e digitale la cui implementazione si basa sui principi della crittografia per convalidare le transazioni e la generazione di moneta in sé.

Le criptovalute vengono implementate su reti i cui nodi sono computer di utenti disseminati in tutto il globo. Su questi computer vengono eseguiti appositi programmi che svolgono funzioni di "portamonete" (o "portavalori digitali"), senza controlli di autorità centrali, avvenendo le transazioni e il rilascio collettivamente e in rete.

Il controllo decentralizzato di ciascuna criptovaluta funziona attraverso una tecnologia di contabilità generalizzata, una catena di blocchi o blockchain, che funge da database delle operazioni, come libro mastro distribuito, generalmente gestita da una rete peer-to-peer che aderisce collettivamente a un protocollo per la convalida di nuovi blocchi.

Una volta registrati con un particolare sistema di marcatura temporale (timestamping), i dati in un dato blocco non possono essere modificati retroattivamente senza la modifica di tutti i blocchi successivi, il che richiede la collusione della maggioranza della rete.

Il sistema sopra (sommariamente) delineato, in sostanza, fa sì che la criptovaluta possa essere "coniata" da qualunque utente e sia sfruttabile per compiere operazioni di scambio, possibili grazie ad un software open source e ad una rete peer to peer.

Sollo il profilo normativo, poi, va rilevato come di recente il legislatore nazionale abbia dato - seppur nell'ambito delle disposizioni dettate per la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo - una definizione di criptovaluta.

Con il D.Lgs. n. 90 del 2017 infatti, che attuala la direttiva UE n. 2015/849, modificando le definizioni dell'art. 1, comma 2, della legge antiriciclaggio, è introdotta con la lettera qq) la nozione di valuta virtuale, definita come "la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un'autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l'accquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente"; il decreto poi fornisce anche una definizione dei prestatori di servizi relativi all'utilizzo di valuta virtuale, vale a dire "ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, servizi funzionali all'utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da ovvero in valute aventi corso legale".

Le criptovalute, dunque, possono essere considerate "beni" ai sensi dell'art. 810 c.c., in quanto oggetto di diritti, come riconosciuto oramai dallo stesso legislatore nazionale, che la considera anche, ma non solo, come mezzo di scambio, evidentemente in un sistema pattizio e non regolamentato, in cui i soggetti che vi partecipano, accettano - esclusivamente in via volontaria - tale funzione, con tutti i rischi che vi conseguono e derivanti dal non rappresentare la criptovaluta moneta legale o virtuale (in altre parole, non vi è alcun obbligo giuridico dei partecipanti al "microsistema" di accettare pagamenti di beni o servizi con criptovaluta).

Ancora, e questa volta sotto il profilo fiscale, la criptovaluta è stata presa in considerazione dalla Corte di Giustizia Europea (causa C-264/14, pronuncia del 22.10.2015), la quale ha riconosciuto che un'operazione di cambio di valuta tradizionale contro criptovalute e viceversa, compiute mediante pagamento della differenza tra il prezzo di acquisto delle valute e quello di vendita praticato dall'operatore ai propri clienti, costituisce, ai fini Iva, una prestazione di servizio a titolo oneroso (...)

La criptovaluta, rappresentando in buona sostanza la digitalizzazione di un valore, per ciò solo negoziabile, può essere utilizzata anche ad altri scopi, come quello speculativo: i soggetti che accettano transazioni (da intendersi in senso ampio di operazioni di scambio/pagamento) in criptovaluta, o tra criptovalute di tipo diverso, possono ben sperare che la criptovaluta aumenti di valore quando è in loro possesso, per poi cambiarla in moneta reale (da un soggetto che sia disposto a fare tale scambio) e lucrando sulla differenza tra il prezzo di acquisto ei il prezzo di vendita, e cioè tra quanto inizialmente "investito" e quanto "ricavato" alla fine dell'operazione.

Con la sentenza del 21 gennaio 2019, il Tribunale di Firenze ha concluso che i prestatori di servizi di criptovalute, che consentono il deposito di valori digitali per il tramite di piattaforme online, esercitano un’attività di deposito (irregolare) ai sensi dell’art. 1782 c.c., per cui sono tenuti a restituire i valori depositati su richiesta del depositante, posto che le valute virtuali sono qualificabili come beni fungibili, restituibili nella medesima specie e quantità.

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